Nella religione pagana le sibille erano le sacerdotesse votate al culto di Apollo e dedite, nello specifico, all’attività di mantica: il nome ‘sibilla’ significa letteralmente vergine nera, esse, infatti, vivevano in caverne buie e dedicavano tutte se stesse al sacerdozio del dio; durante stati di trance e possessioni divine, le sibille rivelavano responsi oracolari fortemente enigmatici, sempre espressi nella forma di esametri greci; stava poi a colui che le interrogava doversi impegnare per interpretare al meglio la misteriosa profezia della sibilla. Sull’origine del mito della Sibilla Cumana vi è una delle leggende più antiche: si narra che nientemeno che il divino Apollo s’innamorò della giovane donna; pur di averla come sacerdotessa, il dio promise alla fanciulla qualsiasi cosa lei volesse. La futura profetessa chiese alla divinità di vivere tanti anni quanti granelli di sabbia riuscisse a tenere nel palmo della mano. Il dio esaudì il desiderio dell’amata che purtroppo si trasformò per lei in una maledizione: la sacerdotessa si era infatti dimenticata di chiedere con la lunga vita anche la continua giovinezza; la donna si era così condannata a un eterno invecchiamento, che la consumò nel corpo fino a diventare piccola come una cicala che venne ingabbiata e tenuta prigioniera nell’antro - poi addirittura sparendo del tutto, lasciando di se stessa la sola voce dai poteri divinatori.
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